Oliviero, lo sguardo e la città futura.
(Continua da “Lasagne e montagne”)
Poi sono
cresciuta e la casa di Farindola la vedevo sempre meno. L’adolescenza in città
mi chiamava ad altri divertimenti, ma non ho mai dimenticato quella casa. Il
richiamo del mare era più forte in quell’età, mi piaceva passare il tempo sulla
spiaggia, sentire il sale sulla pelle e c’erano i primi amori, il motorino, la
curiosità e la voglia di vivere, di conoscere. La curiosità, la voglia di
vivere, di conoscere. Curiosità, conoscere, vivere.
Mi sono
guardata intorno e, a poco a poco, ho capito che la mia piccola città non
rispondeva più a queste mie necessità. Mi sentivo triste nella piccola città,
non riuscivo a divertirmi come si divertivano gli altri. Tutto quello che avevo
intono non rispondeva più a quei tre desideri.
Era arrivato
il momento di andare.
Allora ho
pensato: “ci vuole una città più
grande!”
E via per
l’università, in una grande città con la metropolitana: “che indipendenza!
Guardate come salgo e scendo da questa metropolitana! Dalla linea B, alla linea
A senza mai salire in superficie, dalla linea A alla linea B senza rifare il
biglietto!” e infatti mi becco una multa da grande città, senza se e senza ma.
L’entusiasmo per la metropolitana è durato pochissimo, infatti sono diventata
una camminatrice urbana, chilometri senza mai prender e un mezzo pubblico. La
sera, tornavo a casa sfinita e puzzolente di smog, sudore e solitudine. Nella
grande città, c’erano dei parchi, ma non mi piacevano quanto quello delle "paperelle"
nella piccola città. Nella grande città c’era l’università che soddisfaceva la
mia grande curiosità e il desiderio di conoscenza aprendo altri bisogni ma,
nella grande città, non c’era il mare, tantomeno i rospi, la prugna regina e i
granchi ma non c’era nemmeno il teatro
che cercavo.
Dopo qualche
anno, ho detto arrivederci alla grande città, che ho continuato a frequentare
solo per dare gli esami e laurearmi. Ho preso l’autobus dell’ossigeno, salutato
gli amici e rivisto l’Abruzzo con lo sguardo di chi torna da un lungo viaggio,
anche se “casa mia” era davvero a un paio d’ore d’auto e la vedevo spesso, però
la grande città mi aveva insegnato a guardare le cose da lontano.
Perché per
vedere le cose ci vuole la distanza. Me lo dice pure Oliviero, un pescatore che
esiste nella mia immaginazione e mi racconta questa storia che parla di
montagne, di sogni, di una città futura.
Questa
storia, che mi è nata in un paese di nome Paglieta, la raccontavo in uno
spettacolo che si chiamava “Tento Tanto
– storie di vite nella città”[1]
e faceva più o meno così:
Quando ero piccola mio padre mi diceva che
la Bella Addormentata[2], un
giorno, si sarebbe risvegliata. A me questa cosa faceva paura! Pensavo: “si, ma quando si sveglierà che farà? Ci
abbraccerà? Ci schiaccerà? Ci soffierà via?”
E io quando torno da Roma spesso vado in cerca
del mare e me ne vado sopra all’ultimo scoglio sul molo di Pescara – oh! Quell’
è lu scoja mì eh![3]
– e mi metto fronte a lu mare e spalle alla città. Poi, un giorno, so decise[4] di
cambiare punto di vista e mi so messe spalle a lu mare e fronte alla città. E
chi tti so vishte[5]?
La Bella Addormentata! La Bella Addormentata che è il profilo del Gran Sasso
disteso che dorme. “Lascele perde a chillì, ca quelle è na brutta scostumate![6]”.
Chi è? Oliviero! Nu pescatore vecchio che sta sembre assettate[7] allu scoje arreta a quella mì! Oh, quello non
ce la fa a stare lontano dal mare:
“Quelle, quand’ere ggiovene, m’avè fattè
annammurà. M’avevene dette che se ci saleve sopre e ji deve nu bbace, quelle
diventava una bella ragazze. Allore nu jorne so cchiappate e ci so salite, ma
quande so arrivate sopre, mi so guardate attorne…ngi steve cchiù. Allore me so
rrajate e so ‘rturnate arrete e quande me so ggirate….steve a elle! Allore so
capite ca le cose di vede bbone da lundane, nghe la distanza.[8]”
Allore so penzate d’addummannà[9] a
Oliviero, addò si trova la città futura: “Signorì, ij lu monne li so ggirate
tutte, pe mare e pe monde, ma alla fine a ecche so ‘rturnate, alla casa mì. Mo,
ssa città future che jete cerchenne, non è che non esiste. La città futura
esiste, è sole ca nin si vede[10]…”.
Tutta la
natura era di nuovo lì. Tra il mare e la montagna. Quella montagne che
osservavo da lontano, separate da strati di case e terra. La immaginavo nei tempi
i cui non esisteva la città, i palazzi e i ponti moderni. Mi sforzavo, e lo
faccio ancora oggi, di vedere quelle montagne, la Majella e il Gran Sasso, da
chi, secoli fa, le vedeva approdando sulla costa. Una costa luminosa doveva
essere, dove nei giorni senza foschia, quelle montagne dovevano apparire
vicinissime.
Continuo a
credere che Oliviero avesse ragione, la città futura esiste ma non si vede.
Affinché
la
città futura emerga, io credo che bisogna trovare quei “fili invisibili” di cui
parla nella sua poesia Antonio Catalano
dove “un filo ti lega a un sogno/ Per farti legare a un altro bisogno”. Allora
chiudo gli occhi e cerco di capire “Quei fili invisibili nei giorni a venire”.
Sono passati cinque anni da quello spettacolo in cui
raccontavo questa storia di Oliviero e La Bella Addormentata, che è una storia
che parla dello sguardo. Io non ho smesso mai di cercare la città futura, quel
desiderio si è trasformato in qualcos’altro che ha dato vita alla ricerca non
solo della città ma anche del paese futuro. I paesi hanno innaffiato il mio
sguardo sulle cose, seminato lo sguardo
sulle case, nelle fonti, nelle chiese antiche. I paesi scoprivano il mio
bisogno di lentezza. Attraversandoli, fioriscono storie intrecciate alla Storia,
per chi le sa cogliere. Da qui, dai paesi, il mio concetto di natura cambia
notevolmente, spalancando la porta che porta alle colline e alle montagne, allo
sguardo concreto sulle cose e, allo stesso tempo, uno sguardo visionario,
libero, arioso, che spera, che costruisce.
Che spera, che costruisce.
E tutta la natura, per me, era lì…
(…)
Di filo in filo legati da infinito legame
Stanno le zebre i conigli e le rane
Un filo dal naso al cielo
Per arrivare allo zucchero a velo
Filo per filo segno per segno
Come un grande enorme disegno
Dove io sono disegnato in basso
Proprio come un piccolo piccolo sasso
Come fa un ragno con i suoi fili leggeri
Ad essere legato alle ali degli sparvieri
Come l’emigrante al suo paese nativo
Ha il cuore legato ad un antico ulivo
Filo per filo segno per segno
Come un grande enorme disegno
Dove io sono disegnato in basso
Proprio come un piccolo piccolo sasso
(Qui sopra la seconda parte della poesia di Antonio
Catalano, la prima parte è pubblicata nel precedente racconto su Teatro
dell’Aia in “Lasagne e montagne”. La terza parte nella prossima pubblicazione.)
…Continua…
Foto: Salvatore Costantini. Spettacolo teatrale "Maja, storie di donne dalla Majella al Gran Sasso". Replica del 17/8/2017 a Roccacaramanico, all'interno della rassegna "Teatro nel Borgo" a cura di Muré Teatro.
[1] “Tento
Tanto – Storie di vite nela città”. Spettacolo teatrale di Muré Teatro.
Debutto: Pescara, Spazio Matta, 5 gennaio 2013. Ulteriori info su www.mureteatro.it alla sezione Spettacoli.
[2] Da
Pescara e dintorni, è possibile osservare come il massiccio del Gran Sasso
somigli ad una donna distesa che dorme
[3] Quello è
il mio scoglio eh!
[4] Ho
deciso
[5] E cosa
ho visto?
[6] Lasciala
perdere quella lì, che quella è una brutta scostumata!
[7] Seduto
[8] In
dialetto pescarese Oliviero racconta chequando era giovane gli avevano detto
che se fosse salito sopra la Bella Addormentata, quindi sopra al Gran Sasso, e
le avesse dato un bacio, la montagna di sarebbe trasformata in una donna in
carne e ossa. Quindi, Oliviero parte per questa missione ma, arrivato sulla
montagna, non scorge più il profilo che vedeva dal mare. Arrabbiato torna a
casa e, quando si volta, la ritrova lì. Allora comprende che per essere viste,
le cose, hanno bisogno di una certa distanza.
[9] Ho
pensato di chiedere
[10]
Signorina, io il mondo l’ho girato tutto, per mare e per monti. Ma alla fine
sono tornato qui a casa mia. Adesso, questa città futura di cui andate in
cerca, non è che non esista. La città futura esiste, è solo che non si vede.
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