Care amiche e cari amici di Muré Teatro,
scrivo questa lettera a voi che ci avete sostenuti e seguiti
in questi anni perché, in qualità di
co-fondatrice di questa associazione, sento di voler aggiornarvi su quello che
è accaduto negli ultimi mesi, per quanto riguarda il nostro gruppo. Ci tengo a
precisare che tutto ciò che segue è il mio unico e quindi parziale punto di
vista sulla nostra situazione.
Come solo alcuni di voi sapranno, Muré Teatro a
breve chiuderà i battenti. A partire dal 2015, nel momento forse più
impegnativo ma anche più bello del nostro percorso artistico, dopo lo
spettacolo “Courage!” e la finale al
Premio Scenario per Ustica, abbiamo vissuto alcune divergenze personali e artistiche.
Inizialmente sembrava che potessimo
superare, con un po' di cure e di attenzioni, un male che consideravo, tutto sommato,
passeggero. Purtroppo non è stato così.
Come sempre
accade nei gruppi che si sciolgono, le responsabilità o le scelte non appartengono ad un solo
individuo e non intendo qui elencare le
motivazioni di ciascuno. Sicuramente, più che di colpe, spesso si è trattato di
inconsapevolezza, di decisioni prese troppo in fretta, di un pensiero che, a
volte, era in contrasto con la vocazione associativa del gruppo e altro ancora.
La crisi, non solo artistica ma anche relazionale, inzialmente
ci ha permesso di lavorare ancora un pò insieme per altri spettacoli: il reading teatrale “Fontamara” e “Una
bella volta”, il trekking teatrale che è nato proprio da un’esigenza di uscire
dal teatro e sperare che quest’aria rinvigorisse anche il gruppo che, nel
frattempo, aveva già perso due validissimi elementi come Sebastian Giovannucci
e Martina Morgione, accogliendo Andrea Di Giovanni e lasciando me e Marcello
Sacerdote gli unici elementi fissi.
Anche qui,
nonostante il successo della proposta di teatro in natura, non ci siamo
ricompattati e abbiamo nuovamente perso pezzi. Il bisogno di seguire inclinazioni artistiche personali e di trattare tematiche differenti, seppur simili e inerenti al nostro territorio, ha portato me e Marcello a lavorare su due spettacoli diversi (“Lupo In-Canto” e “Maja”) e con nuove collaborazioni, esterne a Muré, per quanto riguarda la Commedia dell’Arte. Momenti che certamente hanno contribuito a far crescere maggiormente noi come attori e ad aggiungere anche modalità nuove di lavoro come il passaggio dalla dinamica della creazione collettiva a quella dell’attore-narratore solo in scena che, fino ad allora, non avevamo ancora sperimentato.
Successivamente, ci siamo messi in testa di dare un segnale alla città di Pescara della nostra presenza sul territorio e del nostro amore per la cultura popolare e la memoria. Per fare questo abbiamo scelto il Museo delle Genti d’Abruzzo e la rassegna “La Casa della Memoria”. Nonostante la rassegna avesse registrato sempre il tutto esaurito, ormai, la famosa crisi era in uno stato avanzato. Così anche la ressegna estiva “Teatro nel Borgo” è stata più simile ad un’iniziativa personale che ad un progetto della compagnia.
L’amicizia
decennale con Marcello, l’affetto per il compagno di teatro con il quale ho condiviso
ogni impresa di lavoro e di studio, fianco a fianco, mi impedivano di andarmene
sola per la mia strada. Tra le motivazioni che mi trattenevano c’era anche la
consapevolezza di aver creato, insieme ad altri, qualcosa che iniziava a
camminare con le sue gambe, che aveva una sua poetica e una sua forma, che
iniziava ad avere riconoscimenti, anche a livello nazionale. Il frutto di un
lavoro quotidiano e professionale.
Le
situazioni di tensione che, di volta in volta, si andavano creando e
accumulando, mi hanno portato via moltissime forze, esasperando l’insofferenza
che già mi portavo dentro. C’è un punto
in cui intestardirsi serve solo a farsi del male. Dopo due anni di “testate”,
ma anche di mediazioni, la fatica nel trovare equilibri che puntualmente si
rompevano in poco tempo, ha segnato, con una sofferenza per me grande, la
decisione meditata tra mille dubbi e riflessioni, di abbandonare la barchetta
di Muré. Decisione che è stata accolta con molto dispiacere ma anche con una
rabbia che non riesco in cuor mio a giustificare, visto che non si trattava di
una decisione piovuta dal cielo, ma di qualcosa che già era nell’aria e di cui
mi sono trovata a parlare diverse volte con i miei compagni, vista la nostra
situazione. Tra novembre e dicembre ho comunicato a Marcello la mia decisione
di lasciare l’associazione. Da allora ho scelto di portare avanti “Maja”, uno spettacolo che è stato uno
dei “figli” di Muré Teatro che non poteva essere abbandonato e doveva
continuare a camminare e a crescere, così come “Lupo In-Canto”. Quindi ci è sembrato giusto non sospendere le
repliche di questi lavori che sono strettamente legati a noi in quanto attori e
persone. Quello che abbiamo sospeso sono stati tutti gli altri spettacoli in
repertorio e quelli in costruzione.
Inoltre, per
noi, se uno dei fondatori abbandona, Muré non è più lo stesso e non può
navigare, perché tutto è nato e si è sviluppato principalmente su nostre idee e
nostri sacrifici dopo che Manuel Borgia, l’altro fondatore di Muré oltre me e
Marcello, aveva preso altre strade.
La storia
che vi ho appena raccontato, in fondo, è una
piccola storia di piccoli successi
ma anche di fatiche, slanci, visioni, di un piccolo
gruppo di giovani attori che ha tentato l’impresa di essere insieme di persone
in viaggio, in un grande mondo di individualismi. L’impresa di fare teatro
oggi, nel nostro Paese, senza nessun tipo di contributo economico da enti e
istituzioni, basandosi unicamente sul proprio lavoro e sul dialogo con il
pubblico e il territorio.
Pur
riconoscendoci qualità artistiche, organizzative, umane, non siamo riusciti a
restare uniti. Conosco i motivi di questo fallimento e riconosco quando una partita è persa e non serve dire che l’arbitro era distratto, ecc… L’inseperienza e i limiti personali segnano spesso la fine di un percorso. Altre volte si riesce a continuare ad andare avanti, con le stesse persone, ma riflettendo sui propri errori, correggendo, migliorando. Farlo insieme è spesso complesso e faticoso e, a onor del vero bisogna dirlo, noi non ci siamo riusciti, di certo non per pigrizia.
Come disse lo storico allenatore di pallavolo della Nazionale maschile e femminile Julio Vèlasquez, non bisogna cadere nella “cultura degli alibi”, una pratica che conduce ad attribuire ad altre persone o ad altri fattori le responsabilità personali. Vincere significa superare i propri limiti e risolvere le difficoltà. Con questo, sempre per dirla con l’allenatore argentino, non vuol dire che siamo dei perdenti ma che abbiamo fallito degli obiettivi.
Io, prima di
lasciar sbocciare il fiore del futuro, non potevo non chiudere questa porta senza
dirvelo, perché voi che siete venuti ai nostri spettacoli, amici che ci avete
aiutato in ogni modo, viaggiatori che ci avete incontrato solo una volta,
pubblico che ci segue dai nostri primi passi da allievi, è GRAZIE A VOI che
abbiamo potuto scrivere la nostra piccola e breve storia, è grazie a voi che
oggi riusciamo a fare questo mestiere perché voi ci avete concesso, con la
vostra presenza, le vostre opinioni, la vostra stima, l’affetto, il sostegno
economico, di farci viaggiare dentro il teatro stimolandoci a dare sempre il
meglio di noi. Io non potevo, per lealtà e per rispetto, aprire un nuovo
discorso, un nuovo gruppo, un nuovo spazio, senza prima rendere conto a voi di
questi fatti.
Gli altri,
ovviamente, sono liberi di fare ciò che vogliono e lo hanno fatto.
Sono
sempre stata molto esigente con i miei compagni per quanto riguarda la
creazione di un rapporto e di un dialogo con il pubblico, l’ho sempre considerato
fondamentale.
In virtù di
questo dialogo ho ritenuto importante scrivere questa lettera e cercare di
darvi un’idea della situazione. Altrimenti, per fare un esempio pratico, sembra
di aver fatto l’amore a lungo con qualcuno e di andare via senza nemmeno
salutare. Altrimenti, noi attori di Muré, abbiamo parlato e continuiamo a
parlare tanto di relazione, di incontro, di memoria, ma stiamo calpestando
questo rapporto, stiamo ignorando la memoria di quanto questo gruppo ha creato,
ci stiamo riempiendo la bocca di dichiarazioni e di parole che non corrispondo
più ai fatti. Altrimenti, stiamo inviando al pubblico un segnale
contradditorio: mentre questa barchetta sta naufragando in solitudine, dalla
riva, ne avvistiamo il relitto. Chi faceva parte di quell’equipaggio attende in
silenzio che la barca si areni sulla spiaggia, nel frattempo, dalla terra
ferma, qualcuno già ne inaugura una nuova e festeggia, ingorando chi, invece,
si sta chiedendo a chi appartenga quel legno vecchio e come sia arrivato lì in
quello stato. Io, pur essendo scesa da quell’imbarcazione, la vedo, la
riconosco e vado a recuperarla per portarla a riposare, per ringraziarla di
avermi portato vicino e lontano da casa.Anticamente esistevano rituali, che ancora oggi nel nostro Paese si rievocano, dove per dare vita al nuovo si bruciava il vecchio. Sono d’accordo, è nella natura ciclica delle cose. Non sono più d’accordo quando il vecchio non ha tempo di lasciare un messaggio al nuovo che ci consenta di chiudere, finalmente, il ciclo.
Mi sembra onesto perciò, da parte mia, dirvi la verità e cioè che caliamo il sipario (tanto per usare un’immagine “teatrale”, ma ben sapete che di sipari non ne abbiamo mai avuti, né voluti).
Il viaggio
con Muré Teatro mi lascia moltissimo: mi ha permesso di crearmi una
professione, mi ha fatto comprendere quanto questo lavoro sia difficile,
soprattutto per una ragazza che diventa donna anche attraverso l’arte; mi ha
permesso di iniziare la ricerca sulla narrazione, sul teatro popolare, sul
teatro in natura e quello itinerante, mi ha dato la possibilità di incontrare
persone meravigliose; mi ha fatto sentire il peso della scelta di un teatro non
fine a se stesso ma di un teatro utile agli altri; mi ha permesso di far
confluire i miei studi universitari in un contesto dove praticarli e di
iniziare la strada della regia. Tanto altro mi ha dato Muré Teatro, ma quello
che per sempre mi porterò nel cuore non è la rabbia, la delusione o il
rimpianto, ma la bellezza di un gruppo di persone che si uniscono per fare
teatro insieme. Soprattutto, mi restano il vostro calore, la vostra commozione,
i vostri sorrisi, la vostra partecipazione, che valgono immensamente tanto per
me.
Desidero ringraziarvi di tutto questo e vi invito a non
provare amarezza o dispiacere perché sono certa che ciò che, nel nostro piccolo
e con tutti i nostri limiti, abbiamo tentato di fare, lo abbiamo fatto sempre
al massimo delle nostre possibilità e continueremo a farlo anche se non si
chiamerà più Muré Teatro.Desidero, infine, ringraziare i miei compagni per i quali provo un amore che mai potrà essere cancellato, lo stesso sentimento che adesso mi porta ad allontanarmi per non restarne priogionieri. Chissà che, con il tempo, non imparerò a capire come restarvi vicino. Ringrazio gli amici e i collaboratori che hanno condiviso e creduto in noi e nel nostro teatro, sostenendolo in ogni modo. Senza di voi, molto non avremmo potuto realizzare.
Concludo fornendo qualche indicazione per quanto riguarda i
nostri canali virtuali come il nostro indirizzo mail, la nostra pagina FB e
sito internet, che resteranno aperti
ancora per un po' per accogliere richieste inerenti i nostri spettacoli “Maja” e “Lupo In-Canto” che
conservano ancora tutti i riferimenti e i contatti che portano a Muré, in
attesa di effetture modifiche e per consentirci, piano piano, di salvare tutti
i contenuti digitali nel nostro archivio. Io e Marcello abbiamo infatti deciso di
creare un archivio di Muré Teatro, al quale personalmente tengo moltissimo e
considero un ulteriore atto di responsabilità verso la nostra memoria
collettiva, visto che molte sono le voci, i suoni, le storie, i canti, che
abbiamo registrato in questi 6 anni, a partire dalla ricerca con i pescatori di
Pescara per lo spettacolo “Tento-Tanto,
storie di vite nella città” fino ad arrivare alle voci di donne raccolte
con “Maja”. Un archivio che sarà
consultabile, in futuro, rivolgendosi sia a me che a Marcello. Di questo vi
terremo, in qualche modo, informati.
“Finita una cosa, ne comincia un’altra” diceva
Zi Antonio, narratore contadino, racchiudendo in poche parole il senso della
ciclicità e della continuità della cultura contadina.
Insomma, per ogni cosa che finisce non tutto muore e bisogna
andare avanti restare al mondo con disponibilità e ascolto.
Vi ringrazio
di cuore sperando sempre in un arrivederci a presto. Un caro
abbraccio e un grido di battaglia, sempre quello: VIVA IL TEATRO!
Francesca Camilla D’Amico
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